GIANNI PETTENA. ABOUT NON CONSCIOUS ARCHITECTURE

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Dal 12 gennaio al 24 febbraio 2017, la sede milanese della Galleria Giovanni Bonelli (via Porro Lambertenghi, 6) ospita la mostra personale di Gianni Pettena “About non conscious architecture”.

La rassegna, a cura di Marco Scotini, presenta un’ampia antologica dei lavori dell’artista, tra i protagonisti dell’Architettura Radicale, e si focalizza sull’attività svolta tra il 1968 e la fine degli anni Settanta, un decennio cruciale per la sperimentazione artistica e sociale in Italia.

 

Nel percorso espositivo saranno presentati, oltre a una selezione di lavori risalenti alla fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, materiali d’archivio editi e inediti realizzati da Pettena con differenti media.

Per l’occasione sarà riallestita al centro della galleria la grande scritta Carabinieri (creata per la prima volta nel 1968) che è uno degli esempi più importanti di intervento spaziale semiotico di quegli anni, in cui è il linguaggio stesso a rivelare il carattere (di imposizione e controllo) del contesto, mettendo in evidenza la natura etico-estetica della ricerca radicale dell’artista.

 

“Se per anni – come scriveva l’architetto argentino Emilio Ambasz – Pettena non ha ricevuto il giusto riconoscimento, adesso si assiste a un’unanime riscoperta internazionale e a un’attenzione del tutto nuova nei confronti di questo artista, interprete e pioniere di uno dei movimenti più sperimentali degli anni Sessanta e Settanta”.

Alla base dell’Architettura Radicale c’è l’idea di non costruire ma di operare nel già costruito, lasciando emergere lo spazio inconscio o inconsapevole che normalmente viene rimosso – oltre al concepire l’architettura e lo spazio come evento, performance permanente.

 

Il titolo della mostra è tratto da un articolo fondamentale di Pettena uscito sulla rivista Casabella nel 1974, risultato dei suoi ripetuti viaggi nel Sud Ovest degli Stati Uniti, dal deserto dello Utah alla Monument Valley. L’anno precedente, nel 1973, era uscito anche il suo libro, ormai leggendario, L’Anarchitetto, in cui si ritrovano molteplici affinità con la pratica artistica che stava sviluppando negli stessi anni Gordon Matta-Clark.