Inaugura giovedì 12 gennaio, presso la PlusDesign Gallery, la mostra Hispaniola-Design per solidarietà, promossa da ColorEsperanza, che ha coinvolto dieci designer nella progettazione di arredi, in particolare banchi, per le strutture scolastiche, le così dette “escuelitas”, create e gestite dalla ONG dominicana OnéRespé in aree di forte degrado della Repubblica Dominicana.
Tre dei progetti che hanno partecipato alla mostra saranno selezionati da una giuria (tra i cui membri Mia Pizzi, Lilia Laghi, Luisa Bocchietto e Michele de Lucchi, …) per essere poi realizzati da alcune falegnamerie domenicane coinvolte nel progetto.
C’è chi crede che la vera forza della cooperazione internazionale non sia “donare” beni materiali, bensì “offrire” opportunità di sviluppo in grado di avviare un lavoro comunitario che progetta competenze, sapere e imprenditoria “a lungo termine”, lavorando sulla capacità di immaginare e programmare il futuro. Tutto ciò include l’educazione di quella parte che è il primo mondo (noi, che non sappiamo e quindi non facciamo), senza la quale la cooperazione non può decollare davvero. È su questo doppio binario che si muove l’iniziativa cui hanno aderito dieci progettisti proponendo un banco da destinare ai bambini delle escuelitas, su cui verte l’autentica liberazione e ricostruzione di Haiti.
Mentre – qui – intercettiamo il valore immediato e simbolico di questa operazione, ognuno di questi progetti è in fase di prototipazione per una mostra che si terrà a Milano nel gennaio 2012, con lo scopo di sensibilizzare noi tutti all’idea che cooperare è possibile, e che gli strumenti del progetto permettono azioni dirette per disinnescare meccanismi che, per ripartire, hanno solo bisogno di un’occasione.
Dai risultati in mostra, una giuria, con il patrocinio dell’ADI, selezionerà da due a quattro progetti che verranno realizzati grazie alla collaborazione di tre diversi laboratori di falegnameria che si trovano nell’area d’intervento. È qui che avrà luogo l’ultima parte di questo lungo percorso, atto alla valorizzazione delle risorse locali (materiali del luogo) e allo sviluppo di conoscenze tecniche e tecnologiche (monitoraggio della realizzazione), sapendo però che il vero obiettivo è vedere e osservare la società civile auto-organizzarsi dal basso, avvalendosi solo e soltanto delle proprie forze come unico rimedio all’ingovernabilità. Sul campo internazionale negli ultimi due decenni abbiamo visto esempi eccellenti, come il lavoro di Samuel Mockbee, legato nel 1993 alla fondazione di Rural Studio presso la Auburn University, che aveva lo scopo di mettere gli aspiranti architetti faccia a faccia con la povertà estrema, piuttosto che con la “lezione moderna”.
O il contributo di un solo oggetto, il micro-proiettore Kinkajou, pensato tra Design That Matters (Cambrige) e il MIT (Boston) per migliorare e ampliare l’accesso all’istruzione nelle aree del mondo rurali e non elettrificate. Bruttino, ma a Mali in due anni ha istruito più di tremila adulti. O, infine, la lungimiranza di un’idea, come Architecture for Humanity (fondato nel 1999 a New York da un giovanissimo Cameron Sinclair), presente ad Haiti per la ricostruzione di diverse scuole nell’epoca post-terremoto, con progetti che coinvolgono in primis gli stessi studenti oggi riuniti sotto il nome di Students Rebuild.
In tutto ciò allora è necessario guardare ai progetti “dei dieci” con occhi diversi; con “altri” strumenti di valutazione, che per una volta escludono il contributo alla teoria e alla cultura del progetto, ammettendo – perché no – che anche l’ambiente formativo si è convertito in una sorta di International Style, una sorta di non-luogo sempre uguale a se stesso e che esclude il pensiero sulla cultura dei popoli. Ma lasciate che questo oggi non abbia importanza, perché esistono ragioni nodali. In primo luogo c’è sicuramente la difficoltà di muoversi in libertà all’interno di indicazioni progettuali per le quali “i banchi devono essere leggeri e impilabili, solidi e lavabili, water resistant, flessibili e multifunzionali. Per mangiare, disegnare, tagliare. Per bambini dai tre ai nove anni”. Richieste così puntuali parlano di emergenza, urgenza, necessità cui si risponde con la massima efficienza, calibrando e misurando ogni scelta, più che ogni segno. Infine la consapevolezza di questi dieci designer che hanno saputo capire la ragione ultima del progetto in questione, ovvero che la principale differenza tra successo e fallimento è il grado in cui le persone alle quali il progetto stesso è destinato saranno coinvolte nel determinare la qualità, la sedimentazione e la proliferazione dei servizi che riceveranno.
Maggiori informazioni: plusdesigngallery.it