Design a 360 gradi: Arredativo incontra Giulio Iacchetti

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Design Hero, la nostra indagine sul design contemporaneo, riparte e ci conduce a fare una riflessione: è vero che il design è in tutto ciò che viviamo, ma come dobbiamo intenderlo?

La dimostrazione lo sono i designer e i progettisti che sperimentano ed interpretano il mondo contemporaneo, spaziando con disinvoltura nei vari campi del vivere quotidiano. Come Giulio Iacchetti, che abbiamo incontrato in occasione del Salone del Mobile 2015. Dal progetto per uno skateboard a quello di una lampada, dalle mollette per il bucato al progetto di una seduta. Abbiamo parlato con Iacchetti allo stand di Casamania dove ci ha raccontato il progetto Summit e con lui abbiamo riflettuto insieme sui temi del design…

Partiamo dal progetto per Casamania: l’idea, l’ ispirazione da dove nasce?

E’ molto semplice, noi chiamiamo mobili quegli oggetti che fondamentalmente sono immobili, che hanno una fisicità, la quale non permette mobilità. Mi piace notare che dalla mia collaborazione con Casamania, sono nati oggetti che hanno una mobilità. La prima è stata la sedia pieghevole Bek e guarda caso, anche questo divano Summit, rompe con la sua compattezza. Questo succede perché è dotato di cerniere, che ho sviluppato con i tecnici Casamania. Queste permettono di muovere la seduta, trasformando ad esempio un divano 3 posti in un salottino, in modo da poter dialogare.

Con Summit, è possibile muovere i moduli che compongono la seduta e creare un ambientazione diversa: portare un divano il linea la dove c’erano 3 sedute singole.

 

Questo lavoro di ingegnerizzazione, è stato fatto con i tecnici di Casamania, come si è sviluppato il progetto?

Fin dall’inizio è stata una proposta che è stata ben accolta da Casamania, perché era una strada percorribile.

Va detto che il divano mantiene comunque una classica composizione lineare, ed in caso di necessità, grazie ad una maniglia, il divano si muove e diventa compatto.

Nel progettare, ho pensato alle piccole case, abitate ad esempio da manager che lavorano in città ma vivono altrove. Questo divano risponde alle esigenze di chi ha bisogno di un arredo importante che possa rendersi adatto anche a contesti di una casa di medie dimensioni. Summit è un divano flessibile per vivere lo spazio in maniera più partecipata.

Tu a differenza di altri designer, sperimenti  a 360 spaziando tra vari temi: la pipa, la tavola da surf, ecc… Che differenza di approccio c’è in questi campi rispetto al più tradizionale mondo del “furniture” ?

C’è una piccola regola che mi sono imposto fin dall’inizio: sapere qualcosa di tutto e non tutto di qualcosa. In sintesi, diventare professionista del “dillentantismo“. Questo è un buon tema, perché così riesci a “surfare” in mezzo agli argomenti. Probabilmente non sarei credibile dal punto vista tecnico hai massimi livelli, ma questo non mi interessa perché non sono un ingegnere. Quello che mi interessa invece è “surfare” tra le cose. Portare le conoscenze acquisite in un mondo e spostarle in un altro.

Ecco allora, che questa cosa porta effetti positivi. Anche giocare con le parole mobile e immobile, disegnare un tombino piuttosto che un biscotto, presentano connotati molto simili. Questa visione ti da grande apertura di pensiero e consente di intavolare discussioni e rapporti con aziende diverse. Questo porta anche un contributo diverso al nostro lavoro di designer. (perché disegnare sempre e solo divani come fanno alcuni miei colleghi è anche molto noioso)

 

 

 

Anche perché in questo modo, uno cresce professionalmente…?

Si, ma ti posso assicurare che c’è anche una piacevolezza di confronto. Poter conoscere mondi nuovi, per dare un sapore diverso al nostro lavoro.

Tra l’altro con il progetto Surf-o-Morph della tavola da surf questa è stata apprezzata da surfisti professionisti…?

Si sorprendentemente, perché è un ambiente molto conservatore. Invece io, che non sono un surfista tanto per essere coerente, ho ricevuto da un surfista americano famoso, parole molto garbate sul mio progetto.

Parliamo di oggetti di design, c’è un oggetto della storia del design che avresti voluto disegnare?

Si la Telecaster (Fender Telecaster), la prima chitarra elettrica di produzione di massa, è un progetto ancora adesso insuperato, tanto che i migliori chitarristi di oggi, hanno ancora a che fare con questo tipo di strumento. Era uno strumento veramente innovativo nel design del manico, nella forma irripetibile. Davvero, mi piacerebbe poter disegnare degli strumenti musicali.

Ogni anno al salone del mobile arrivano milioni di persone e anche alcune polemiche spesso dall’estero polemiche specie dalla stampa estera, una curiosità, tu vedi differenze tra il salone e altre fiere?

Le polemiche sono sciocchezze che non andrebbero neanche raccolte… Il Salone ha una vocazione commerciale ed è un bene. Le aziende italiane sono le migliori al mondo e fanno bene a far le cose al massimo livello. Noi lavoriamo sulla bellezza una delle cose più inutili al mondo, ma in verità utili, perché non possiamo farne a meno.

Tu sei anche un protagonista del design auto-prodotto che negli ultimi anno ha avuto un nuovo rinascimento. Tu cosa ne pensi anche rispetto a quello storico degli anni ’70?

Credo che l’autoproduzione, sia un evoluzione del nostro mondo. Perché questo mondo si evolve, non dimenticando certe tracce della sua storia, ma aggiungendo voci a questo coro polifonico che è il design.

Aziende consolidate, aziende nuove, autoproduzioni di gruppi di giovani designer o come ho fatto io con InternoItaliano, collaborazioni con la fabbrica diffusa di artigiani, che concorrono insieme a me e ad altri designer a disegnare lo scenario abitativo italiano .

 

Io credo che siano tutti aspetti importanti aggiungono voci a questo coro, che è bello se ha tante voci, a volte anche fantastiche.

Per quanto riguarda InternoItaliano, è un progetto della maturità perché ci arrivi quando inizi a generare l’idea che non solo sei un designer a servizio delle imprese, che comunque andranno sempre avanti, ma decidi di metterti te a capo di un impresa. E’ la stessa differenza che c’è tra un giornalista che scrive per una testa e uno che fonda una testata. C’è assunzione di responsabilità, ma anche la libertà di disegnare uno scenario, c’è l’introduzione del proprio brand nel mondo del design e c’è bisogno di generare proposte coerenti che possono reggersi anche commercialmente sulle loro gambe, ed è una grande implementazione.

 

Concordiamo, siamo convinti che il design e fare il design  non sia lavorare a comportamenti stagni, anzi crediamo davvero che dallo scambio possano solo nascere bei progetti alla portata di tutti…