Fino al 10 Settembre al Vitra Design Museum la mostra «Together! The New Architecture of the Collective» è la prima esposizione che getta diffusamente luce su questo tema e lo rende vivibile dal punto di vista spaziale. Sulla base di modelli, filmati e appartamenti in scala 1:1, vengono presentati un gran numero di esempi europei, asiatici e statunitensi. Ma anche storici precursori dell’architettura comunitaria – dalle idee di riforma del XIX secolo alla scena hippy e all’occupazione delle case, ispirata dal motto «Make love, not lofts».
Lo spazio abitabile è una risorsa scarsa – e lo diverrà sempre di più nei prossimi anni. Mentre i prezzi degli immobili nelle metropoli aumentano, i classici concetti di costruzione degli appartamenti non sono più in grado di soddisfare il fabbisogno. Per rispondere a queste sfide, una rivoluzione silenziosa ha luogo nell’architettura contemporanea: la costruzione e l’abitazione in collettivi.
L’esposizione inizia con uno scorcio storico degli ideali abitativi ad ispirazione sociale, nati in primo
luogo da una protesta contro i rapporti di forza esistenti. Questo è sottolineato da una messa in scena
che fa riferimento alla rilevanza sociale della tematica: i filmati mostrano i movimenti di protesta storici
in difesa dello spazio abitabile, mentre gli striscioni informano in merito ai concetti di soluzioni sviluppati
a quell’epoca. Tra gli esempi illustrati ci sono il falansterio di Charles Fourier (1772–1837), la colonia
Monte Verità, nata in Ticino alla fine del XIX secolo, le cooperative di alloggi degli anni ‘20, ma anche
la Città Libera di Christiania di Copenaghen o la cooperativa Karthago di Zurigo. I retroscena sociopolitici
di questi progetti permettono di comprendere le nuove idee: anche la società di oggi è in fase
di mutamento, in quanto sempre più persone vivono in situazioni diverse dalla classica struttura familiare
– negli appartamenti vivono coppie, famiglie monoparentali, single o singoli anziani. Per molti di
essi, vivere in comunità può rappresentare un’alternativa promettente, atta a facilitare i contatti sociali
e a diminuire i costi.
Nella seconda area dell’esposizione, i visitatori trovano un’installazione composta da 21 modelli di
grande formato di odierni progetti di edilizia residenziale. Gli esempi illustrati provengono, tra l’altro,
da Berlino, Zurigo, Los Angeles, Tokio e Vienna – e sono stati ideati da architetti dello studio einszueins
architektur, dell’istituto di urbanistica applicata (ifau), da Jesko Fezer e Heide & von Beckerath, da
Michael Maltzan Architecture, da ON design partners o ancora dal pool Architekten e Ryue Nishizawa.
Uno sguardo dettagliato ai singoli progetti mostra che i nuovi edifici residenziali comunitari
rispecchiano anche un approccio assolutamente innovativo a volumi, facciate e materiali: dalle esigenze
particolari e dai limitati mezzi a disposizione nasce un’estetica particolare. La presentazione dei
modelli quali città immaginarie illustra inoltre che, in molti dei progetti presentati, la città e lo spazio
abitabile, il pubblico e la sfera privata si amalgano sempre più e in modi nuovi, al posto della separazione
netta che esisteva prima.
Il significato concreto di tutto ciò è visibile al momento in cui, nella terza area dell’esposizione, i visitatori
accedono al modello 1:1 di un cosiddetto appartamento cluster e attraversano le aree comuni e le
stanze private. Planimetrie e note informative spiegano come è possibile abitare concretamente in comune.
La riproduzione è completata dalle fotografie di Daniel Burchard, che ha visitato otto progetti
in diversi Paesi e ha documentato la nuova forma di vita in comune per questa esposizione. Da tutto
ciò risulta evidente che molti dei nuovi collettivi abitativi sono un laboratorio di sviluppo sociale, anche
perché mettono alla prova nuovi collegamenti tra abitazione e lavoro, divenuti possibili solo grazie alla
digitalizzazione.
Ma come funziona la nuova architettura della comunità dal punto di vista economico, quali sfide si
presentano nel quotidiano e come è realizzabile praticamente? Queste domande trovano una risposta
in uno spazio cooperativo di lavoro (co-working) integrato nell’esposizione sulla base di cinque progetti
reali: la Sargfabrik a Vienna, il Zwicky-Süd a Zurugo, La Borda a Barcellona, R50 a Berlino e Apartments
with a Small Restaurant a Tokio. La realizzazione di quest’area quale spazio di lavoro mostra
che il nuovo intreccio di numerosi progetti con la vita pubblica offre anche nuove possibilità di finanziamento:
nel progetto zurighese Kalkbreite, ad esempio, la metà della superficie è destinata a funzioni
commerciali e comprende non solo strutture pubbliche come un cinema, un supermercato senza imballaggi,
ristoranti e caffetterie, studi medici e diversi uffici, ma anche un cortile interno accessibile liberamente
con un parco giochi per bambini.
I progetti come il Kalkbreite dimostrano inoltre che i modelli abitativi comunitari non sono solo in grado
di affermarsi con successo sul mercato residenziale commerciale, ma anche di modificarlo positivamente.
Sono parte della cosiddetta «sharing economy», che ridefinisce radicalmente il ruolo della proprietà,
mentre i movimenti sociali bottom-up – come Occupy – ancorano tali ideali nello scenario politico.
L’esposizione mostra l’influenza di questi sviluppi sul modo in cui abitanti e architetti sviluppano
oggi assieme nuove forme di convivenza – non solo quale prodotto delle semplici esigenze individuali,
ma anche quale risposta alla domanda centrale del nostro tempo: come vogliamo abitare assieme in
futuro?