Boetti/Salvo: “Vivere lavorando giocando”

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Il Museo d’arte della Svizzera italiana prosegue la sua riflessione su alcune figure e movimenti che hanno segnato la storia dell’arte contemporanea presentando, a partire dal 9 aprile fino al 27 agosto 2017, la mostra “Boetti/Salvo. Vivere lavorando giocando”. L’esposizione intende indagare la relazione intellettuale e di amicizia intercorsa tra Alighiero Boetti e Salvo nella Torino dei tardi anni Sessanta. In concomitanza allo Spazio –1. Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, l’allestimento dal titolo “Torino 1966–1973”, documenta il vitale contesto artistico dell’Arte povera in cui i due artisti si trovarono ad operare. Alighiero Boetti (1940–1994) e Salvo (1947–2015), fra le figure più originali della scena artistica italiana della seconda metà del Novecento, iniziarono la loro attività sul finire degli anni ’60 a Torino, città in quel periodo teatro di particolare fermento artistico e intellettuale, e lì, dal 1969 al 1971, condivisero lo studio in Corso Principe Oddone 88. Il sottotitolo stesso dell’esposizione, “Vivere lavorando giocando”, è una citazione di Salvo che, nel maggio 2011, definì con questi tre termini il suo rapporto con Alighiero in occasione di una giornata di studio dedicata a Boetti. La mostra di Lugano intende dunque dare forma visiva a questa intensa avventura esistenziale in cui “giocare” con l’arte era in realtà attività rigorosa, avvincente ed irrinunciabile.

 

 

L’esposizione “Boetti/Salvo. Vivere lavorando giocando” presenta circa centocinquanta opere e si avvale di prestiti internazionali concessi dall’Archivio Alighiero Boetti di Roma, dall’Archivio Salvo di Torino, da musei e gallerie e collezioni private. La prima parte dell’esposizione si concentra sul dialogo e lo scambio di matrice concettuale tra i due artisti al volgere degli anni ’70, periodo d’intensissima frequentazione nel clima di generale rinnovamento della Torino dell’Arte povera, allora animata da spazi vitali e innovativi quali le gallerie Sperone, Notizie e Christian Stein. In questi anni Boetti è orientato verso una costante riformulazione della sua identità d’artista: l’idea di autorialità, di messa in scena del soggetto nel suo raddoppiarsi, moltiplicarsi o perdersi è ossessivamente presente nella sua ricerca. Parallelamente il tempo, inteso sia come oggetto di riflessione sia come attiva forza creatrice, diviene motivo di sfida e confronto costante.

 

 

Nello stesso periodo prende avvio la fascinazione per l’“ordine e disordine” dei fenomeni della realtà indagati da Alighiero alla ricerca di un sistema di regole, leggi, criteri ordinatori che, applicati a parole e immagini, dettino la configurazione dell’opera su spazi bidimensionali. Per Salvo gli anni a cavallo tra il 1969 e i primi ‘70 rappresentano il momento dell’affermazione della propria identità e l’assunzione del proprio Ego a soggetto di riferimento e di celebrazione del sé attraverso un processo di autostoricizzazione venato d’ironia. Fino al 1972 circa, lavori fotografici di matrice concettuale si alternano alle lapidi e ai ricami caratterizzati da iscrizioni di parole e frasi. Attorno al 1973 Salvo, noto per la sua memoria prodigiosa e il suo sapere enciclopedico, vira verso una pittura figurativa intrisa di riferimenti alla storia dell’arte, scelta del tutto insolita in quella stagione di concettualismo dominante. Sia Boetti sia Salvo si interrogano dunque, pur con accezioni e modalità diverse, sulla rappresentazione del sé, sulla loro identità di individui e di artisti mantenendo sempre fisso lo sguardo sulla complessità del reale (Boetti) e sul mistero dell’arte (Salvo). Nelle prime sezioni il percorso espositivo si articola in capitoli quali “Immagine del sé”, “Fare frasi”, “Tautologie”, “Pensare il tempo” e “Mappe”, in cui le opere dei due artisti dialogano direttamente. La seconda parte della mostra, dal titolo “Infinita varietà del tutto”, mette a fuoco, invece, gli sviluppi successivi delle rispettive ricerche condotte ormai in modo completamente autonomo, l’allestimento tiene conto, dunque, della progressiva distanza venutasi a creare tra i due artisti.

 

 

 

A partire dal 1972, anno del trasferimento di Boetti a Roma, rimane tra i due artisti una comune adesione a temi quali l’identità, il viaggio o la morte, ma è la concezione stessa della superficie bidimensionale nell’uno e della pittura nell’altro a dividerli irrimediabilmente. Salvo, da metà degli anni Settanta, si dedica al mezzo pittorico in modo totalizzante, mentre Boetti si orienta, sebbene non esclusivamente, verso la pratica concettuale della proliferazione e della delega assegnando cioè ad assistenti, collaboratori e artigiani, a volte a lui sconosciuti, la realizzazione delle opere, spesso concepite in serie, cicli o varianti. Entrambi aprono la strada a una molteplicità di linguaggi e tecniche offrendo un fondamentale contributo alla riflessione concettuale degli anni ’60 e ’70 del Novecento. Boetti e Salvo rimangono ancora oggi figure di riferimento per le generazioni di artisti postconcettuali del ventunesimo secolo. Agata Boetti, dell’Archivio Alighiero Boetti, e Norma Mangione con Cristina Tuarivoli, dell’Archivio Salvo, hanno svolto un ruolo essenziale nella preparazione della mostra. Le preziose informazioni e i materiali, talvolta inediti, generosamente messi a disposizione hanno costituito un valore fondamentale per il progetto espositivo.