The Interior and the Carpet Artist’s Carpets

Pubblicato il Di in Eventi

The Interior and the Carpet è una mostra di tappeti d’artista realizzati in edizione limitata prodotti da Petra Grunert Singh di Equator Production, New York (www.equatorproduction.com), che include i lavori di 13 artisti internazionali: Alan Belcher, Walter Dahn, Jirí Georg Dokoupil, Liam Gillick, Ilya ed Emilia Kabakov, Joseph Kosuth, Ken Lum, Jonathan Monk, Peter Nagy, Julião Sarmento, Rob Scholte, Rosemarie Trockel, Heimo Zobernig.

La mostra, allestita al Pacific Design Center di Los Angeles, importante distretto per il design contemporaneo progettato dall’architetto argentino Cesar Pelli nel 1975, si potrà visitare dal 22 marzo al 23 giugno 2017 e inaugurerà mercoledì 22 marzo 2017 dalle 17.00 alle 21.30 in coincidenza con “Westwerk”, l’evento annuale dedicato al design industriale del Pacific Design Center.

Il progetto espositivo The Interior and the Carpet ha l’obiettivo di mostrare l’evoluzione del concept che sta alla base del lavoro di Equator Production. L’esposizione presenta la prima lista di artisti a cui vennero commissionati tappeti d’autore tra il 1985 e il 2003: Walter Dahn, Jiří Georg Dokoupil, Peter Nagy, Rob Scholte e Rosemarie Trockel, così come una serie di tappeti più recente (dal 2014) realizzati da Alan Belcher, Liam Gillick, Ilya ed Emilia Kabakov, Joseph Kosuth, Ken Lum, Julião Sarmento, Heimo Zobernig. Questa selezione è stata curata da Cornelia Lauf per Equator Production in un progetto gestito da GoldenRuler, Roma (www.goldenruler.eu). Alcuni di questi tappeti sono stati recentemente esposti alla mostra Wall to Wall: Carpet by Artists al Museum of Contemporary Art (MOCA) di Cleveland, sempre a cura di Cornelia Lauf.

 

Il tappeto concepito da Jirí Georg Dokoupil, Ohne Titel (unique) del 1986, e quello di Rob Scholte, Mens Erger Je Niet del 1988, sono i primi pezzi d’autore prodotti da Equator Production. Spiral, un tappeto che rappresenta l’immagine di una spirale con piccole figure disegnata a mano libera su fondo bianco di Walter Dahn e Disease and Decoration di Peter Nagy, sono invece esemplari del 1991, quando l’azienda produttrice proseguiva già da qualche anno la sua avventura nel settore. Sempre del 1991 è Plus Minus, un tappeto che presenta una superficie ossessivamente punteggiata di segni positivi e negativi realizzato dall’artista tedesca Rosemarie Trockel.

Tra i manufatti più recenti ci sono il tappeto di Joseph Kosuth, Remarks on the Foundation of Mathematics (2015), intrecciato a Katmandu, Nepal, che fa riferimento a un libro di filosofia della matematica pubblicato nel 1956 da Ludwig Wittgenstein (in tedesco: Bemerkungen über die Grundlagen der Mathematik); il tappeto di Ken Lum, The Path from Shallow Love to Deeper Love (2015), che si appropria di un’immagine readymade e ne fa il soggetto dell’opera: un antico pattern decorativo greco-romano, di origini cinesi, pensato per simboleggiare l’infinito. Utilizzando colori caldi per tracciare il disegno labirintico, Lum usa un titolo poetico per suggerire un tortuoso, e a volte mistificante, viaggio nei sentimenti umani; il tappeto di Heimo Zobernig, Carpet / Rug (2015), che giocando, come a volte gli artisti fanno, con il linguaggio, pone la questione ancora aperta se è il tappeto è un semplice oggetto per coprire il pavimento o se è un oggetto d’arte.

 

Il Lihotzky Carpet (2015) di Liam Gillick, artista britannico particolarmente noto per il suo uso del colore applicato a strutture in acciaio inox e plexiglass, riproduce, come fosse un manifesto, l’immagine di un disegno della cucina di Francoforte progettata nel 1926 dall’architetto austriaco Margarete Schütte-Lihotzky, corredandolo di segni che alludono a percorsi domestici. L’obiettivo della cucina di Francoforte era semplice: creare uno spazio il più possibile efficiente, che fosse igienico e che facesse risparmiare tempo e denaro. È importante sottolineare che questo disegno separava la cucina dallo spazio della vita quotidiana, creando una linea di demarcazione tra il lavoro (la cucina) e il tempo libero (il soggiorno).

 

Nel tappeto Hole in the Wall (2016) di Ilya ed Emilia Kabakov il decoratore nepalese ricrea con la lana un disegno che Ilya Kabakov ha realizzato nel 1970 per un portfolio di 72 stampe. L’immagine assomiglia alla mappa di un luogo in un campo rosso, forse un idillio di epoca sovietica in cui una delle figure rappresentate risiedeva. Blocks (2016) di Julião Sarmento si basa sui blocchetti di costruzione di un insieme architettonico. Di solito Sarmento crea architetture concettuali nei suoi dipinti, o paesaggi di memoria. In questa sottile fusione di spazio, matematica applicata all’architettura e arte tessile, l’artista trasforma le forme più basilari in materiali elementari.

 

Dog Chew Rag (2016) di Alan Belcher, è un originalissimo tappeto realizzato con i residui del giocattolo di pezza che il piccolo terrier dell’artista, Milo, ha masticato giocando. L’opera di Belcher è un esempio perfetto della società liquida in cui viviamo, un oggetto che va oltre il suo immediato riferimento aneddotico per dare forma a nuovi simboli culturali. È la sintesi rappresentativa di un oggetto prodotto in massa in Cina (il giocattolo), ricomposto al computer dall’artista nel suo studio, a Toronto, infine delegato via New York e Roma alla produzione in Asia, dove le pazienti mani dei tessitori di Katmandu hanno realizzato un tappeto la cui immagine finale ricorda un mandala.

 

Infine, l’opera di Jonathan Monk, Untitled (Flying Carpet) (2017) che riproduce su tappeto l’immagine di una celebre copertina della rivista “Flash Art” realizzata da Gino De Dominicis in omaggio al “salto nel vuoto” di Yves Klein, si basa su un’immagine che cattura l’essenza di un momento performativo. L’opera pone la questione dell’intraducibilità di tutte le cose – o al contrario – dimostra che tutto (anche un’opera d’arte), può essere mutato e fatto proprio.