LABYRINTH DI JIMMIE DURHAM

Pubblicato il Di in Eventi

Fino  al 29 giugno 2018 la Fondazione Adolfo Pini  presenta la mostra  Labyrinth, un progetto site-specific realizzato dall’artista Jimmie Durham, a cura  di Gabi Scardi.
Jimmie Durham è una delle maggiori personalità artistiche del presente.
Intellettuale, saggista e poeta, oltre che artista visivo, dagli anni Sessanta il suo  lavoro evidenzia il sistema di convenzioni all’interno delle quali viviamo;  convenzioni che riguardano le idee, i comportamenti, la storia e le sue
interpretazioni. Metterle in discussione significa aprirsi al dubbio, evidenziare la  sfaccettatura della realtà, lasciare emergere una molteplicità di visioni  possibili.

Le sue opere consistono, in molti casi, in arrangiamenti di materiali naturali o  industriali, innestati gli uni sugli altri; materiali che normalmente sfuggono all’attenzione o risultano troppo al di sotto di ogni valore per essere classificati;
queste opere equivalgono dunque a commenti sulla natura delle cose e sul loro valore. In altri casi le installazioni si compongono di oggetti trovati o creati:  oggetti che sono concentrati di quotidianità, che narrano storie, e ci dicono chi siamo. Alla base della sua pratica c’è infatti la volontà di restituire alle cose la possibilità di presentarsi nella propria essenza; di decostruire le sovrastrutture che le circondano, e con esse i concetti cardine della civiltà del consumo.
In questa logica si inserisce l’attenzione che l’artista dedica al tema  dell’architettura, elemento da sempre centrale nella sua poetica.

Dell’architettura, nel corso degli anni, Durham ha voluto scardinare l’assertività,  la monumentalità. L’oggetto della sua critica è il senso di stabilità, che rende  l’individuo certo e perentorio e lo sottrae al dubbio imbrigliandone l’attitudine  critica.
Per la Fondazione Adolfo Pini l’artista crea un nuovo progetto, appositamente  concepito, lavorando sullo spazio esistente e sulle sue strutture. In particolare,  Durham porta all’esterno ciò che normalmente è “dentro” il corpo
dell’architettura; rende visibili i materiali che lo compongono, rivela ciò che sta sotto il rivestimento: i “visceri”, le “interiora”; il rimosso; Innards, appunto. Per estensione, l’artista affronta così la questione di ciò a cui si dà spazio o ciò che si cela; di ciò che si dice o si omette. Al progetto abbina un video del 1994, The Man Who Had A Beautiful House, video girato da Jimmie Durham in Messico. Vi  si vede un uomo, elegantemente vestito, che avanza in un ambiente naturale mentre descrive una casa che non c’è; ma che si trova ovunque la si voglia riconoscere. Una casa che è un concetto e un sogno, che potrebbe anche essere un castello; che ha angoli di pietra e pareti di mattoni; in cui ci sono camere, una cucina, utensili, tessuti, sedie disposte a cerchio. Le parole dell’uomo sono
poetiche. I suoi gesti esemplificano il racconto esibendo alcuni degli oggetti menzionati. Il video si inserisce nell’ambito di un’esplorazione dell’idea di abitare intesa come riferimento primo dell’identificazione individuale e sociale e come veicolo di aspirazioni e desideri, visioni del mondo.
Dopo aver presentato i primi tre progetti site-specific, The Missing Link di Michele Gabriele, Materia prima di Lucia Leuci e Memory as Resistance di Nasan Tur, con questa nuova mostra la Fondazione Adolfo Pini prosegue pertanto il
proprio percorso dedicato all’arte contemporanea, sotto la guida di Adrian Paci.