Objects of Desire: Surrealism and Design 1924 – Today

Pubblicato il Di in Eventi

Il surrealismo è considerato una delle correnti artistiche più influenti del XX secolo. Nei mondi onirici da esso creati gli oggetti di uso quotidiano svolsero un ruolo centrale: furono oggetto di straniamento, ironizzati o assemblati in strani esseri ibridi. Sono nate così alcune delle opere chiave dell’arte moderna, fra cui «Ruota di bicicletta» (1913) di Marcel Duchamp o «Telefono aragosta» (1936) di Salvador Dalí. Ma il surrealismo diede impulsi importanti anche al mondo del design. Fino al 19 gennaio 2020, il Vitra Design Museum presenta una grande esposizione che mira ad esplorare in modo esaustivo il dialogo fra surrealismo e design. Per la prima volta si analizzerà quanto il surrealismo abbia influenzato il design degli ultimi cent’anni, da mobilio ed arredamento di interni a grafica, moda, cinema e fotografia. La mostra comprende opere di Gae Aulenti, BLESS, Achille Castiglioni, Giorgio de Chirico, Le Corbusier, Salvador Dalí, Dunne & Raby, Marcel Duchamp, Max Ernst, Ray Eames, Front, Friedrich Kiesler, Shiro Kuramata, René Magritte, Carlo Mollino, Isamu Noguchi, Meret Oppenheim, Man Ray, Iris van Herpen e molti altri.

Installation view »Objects of Desire:
Surrealism and Design 1924 – Today«
© Vitra Design Museum,
photo: Ludger Paffrath

Fondato nel 1924 da André Breton con il primo manifesto surrealista, il surrealismo divenne in breve tempo un movimento di portata internazionale a cui aderirono numerosi scrittori, artisti e cineasti. Inconscio, sogni, ossessioni, caso e irrazionale furono solo alcune delle fonti a cui i surrealisti attinsero per creare una nuova realtà artistica. A partire dagli anni Trenta le loro idee iniziarono ad influenzare anche il design e dagli anni Quaranta il surrealismo divenne un vero e proprio movimento di tendenza che influenzò la moda, l’arredamento di interni e la fotografia fino ad arrivare sulle copertine di riviste famose quali «Harper’s Bazaar» e «Vogue». Ancora oggi, il surrealismo offre ai designer di tutto il mondo molteplici spunti di ispirazione, sia attraverso i motivi sviluppati nel suo fantastico mondo immaginativo, sia grazie al suo approccio sovversivo o all’interesse per la psiche umana. La mostra «Objects of Desire» affianca alle opere d’arte del surrealismo oggetti di design per metterne in evidenza gli affascianti parallelismi e rimandi. Fra gli importanti prestiti provenienti dal campo delle arti visive vi sono i dipinti «Il modello rosso» (1947 o 1948) di René Magritte, «Mezza tazza gigante sospesa ad un inesplicabile pendaglio alto cinque metri» (1944/45) di Salvador Dalí e «Foresta, uccelli e sole» (1927) di Max Ernst, ma anche esempi di ready-made come «Scolabottiglie» (1914) di Marcel Duchamp o «Regalo (Cadeau)» (1921) di Man Ray. Le opere di design esposte partono dagli anni Trenta, come ad esempio il tavolo «Traccia» (1939) di Meret Oppenheim, e giungono fino alla contemporaneità, come ad esempio i progetti per la moda di Iris van Herpen, oggetti di Front, Konstantin Grcic o Odd Matter nonché progetti di Critical Design che mettono in discussione le nuove tecnologie o i ruoli di genere in modo sovversivo.

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Surrealism and Design 1924 – Today«
© Vitra Design Museum,
photo: Ludger Paffrath

Tutte le opere esposte dimostrano che il design degli ultimi cent’anni non tratta solo di funzionalità e tecnologia, ma anche della realtà celata dalle cose, di sogni, miti e ossessioni nascosti, in una parola: del surreale. La mostra si apre con una rassegna sul surrealismo dagli anni Venti agli anni Cinquanta del XX secolo in cui diventa chiaro quale importanza abbia svolto il design per lo sviluppo del movimento. Ispirandosi alla «pittura metafisica» di Giorgio de Chirico, artisti come René Magritte e Salvador Dalí cercarono di cogliere l’aura e il mistero degli oggetti di uso quotidiano. Contemporaneamente, influenzati dai ready-made di Marcel Duchamp, artisti come Meret Oppenheim o Man Ray sperimentarono nuove forme scultoree creando oggetti assurdi con materiali e oggetti trovati a caso. La ricerca del potenziale narrativo degli oggetti ha influenzato sin dagli anni Trenta designer e architetti dello stampo di Le Corbusier. Lo si può vedere, ad esempio, nell’appartamento parigino da lui progettato dal 1929 al 1931 per Carlos de Beistegui, uno dei più importanti collezionisti d’arte surrealista. Quando, dopo l’ascesa del nazionalsocialismo e l’occupazione della Francia, diversi esponenti del surrealismo emigrarono negli Stati Uniti, il movimento ha iniziato ad ispirare anche i designer dall’altro lato dell’Atlantico, fra i quali Ray Eames e Isamu Noguchi.

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© Vitra Design Museum,
photo: Ludger Paffrath

Nel 1942 Friedrich Kiesler utilizzò le idee surrealiste dello spazio per allestire gli interni della galleria di Peggy Guggenheim Art of This Century a Manhattan. Le forme biomorfe del mobilio realizzato appositamente per la galleria esercitarono una grande influenza sul linguaggio organico del design americano del Dopoguerra. La seconda parte della mostra esamina il modo in cui i surrealisti analizzarono gli archetipi degli oggetti quotidiani e minarono i codici di significato alla base del nostro mondo, apparentemente familiare. Dopo il 1945 molti designer utilizzarono strategie simili; si pensi, ad esempio, ad Achille Castiglioni i cui progetti spesso si basano sull’idea del ready-made. Molte opere del Radical Design italiano, fra cui «Sassi» (1967/68) di Piero Gilardi o la poltrona «Capitello» (1971) dello Studio65, ricordano i frammenti di oggetti decontestualizzati di Salvador Dalí o Giorgio de Chirico. Negli anni Sessanta e Settanta anche artisti surrealisti come Man Ray o Roberto Matta sfruttarono la possibilità di utilizzare nuovi materiali plastici per trasformare le idee surrealiste in sedie, poltrone e simili. Anche i progetti più recenti presenti nella mostra si basano sulla decontestualizzazione e sullo straniamento di ciò che ci è apparentemente noto, ad esempio «Horse Lamp» (2006) della coppia femminile di designer Front o «Coathangerbrush» (1992) di Konstantin Grcic, il quale vede in Marchel Duchamp un’importante fonte di ispirazione. La terza parte della mostra è dedicata ad amore, erotismo e sessualità, temi centrali per il surrealismo. Nel secondo Dopoguerra queste tematiche si fecero strada anche nell’architettura di interni come dimostrano gli allestimenti e il mobilio creati dal designer italiano Carlo Mollino o «Mae West Lips Sofa» (1938) di Salvator Dalì, più tardi trasformato dallo Studio65 in «Bocca» (1970), un famoso divano a forma di labbra. Il legame fra surrealismo e design è particolarmente evidente nel mondo della moda.

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photo: Ludger Paffrath

Qui svolse un ruolo pionieristico Salvador Dalí che già negli anni Trenta collaborò con la leggenda della moda Elsa Schiaparelli creando copertine per riviste di moda, pubblicità di moda e motivi di tessuti per aziende tessili. Mentre le opere dei surrealisti di sesso maschile erano spesso permeate da stereotipi di genere, i lavori di molte esponenti femminili del surrealismo erano caratterizzate da un sottile esame di questi temi, cosa che le rende un punto di riferimento importante per le designer e i designer contemporanei.

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photo: Ludger Paffrath

Fra le opere in mostra che meglio chiarificano questo aspetto vi sono le sovversive fotografie di moda di Lee Miller, gli autoritratti androgini di Claude Cahun e l’assemblage «César» (senza data) di Mimi Parent. Ma anche i lati oscuri della sessualità svolsero un ruolo importante per il surrealismo, ispiratosi, non da ultimo, alla psicoanalisi di Sigmund Freud che considerava amore e erotismo strettamente intrecciati a forze contrarie come violenza, oppressione e distruzione. La mostra documenta questo aspetto con opere di Hans Bellmer, Wolfgang Paalen e altri e dimostra così come anche questi temi abbiano trovato spazio nel design, ad esempio negli oggetti di Gaetano Pesce, Maarten Baas o dello Studio Wieki Somers. La teiera «High Tea Pot» (2003) di Somers ha la forma di un teschio di suino ed è ricoperta da una pelliccia di topo muschiato; essa mina la nostra idea di confortevolezza in modo simile ad alcune opere di Meret Oppenheim, una delle surrealiste di maggior spicco. L’ultima parte della mostra è incentrata su ciò che l’etnologo francese Claude Lévi-Strauss chiamava il «pensiero selvaggio», l’interesse cioè per l’arcaico, il casuale e l’irrazionale, che rispecchia tanto l’entusiasmo dei surrealisti per la cosiddetta «arte primitiva» quanto i loro esperimenti con materiali e tecniche, come la «pittura automatica».

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© Vitra Design Museum,
photo: Ludger Paffrath

Nell’arte ciò portò alla realizzazione di mondi pittorici con una propria logica formale, spesso caratterizzata da forme traboccanti e fluide, come nei dipinti di Max Ernst o Yves Tanguy. Nel design si possono ritrovare motivi simili soprattutto a partire dagli anni Ottanta, quando si fecero strada approcci sperimentali e i designer iniziarono a decostruire sia le forme che le tipologie degli oggetti. Un esempio paradigmatico è rappresentato dal divano «Pools & Pouf» (2004) di Robert Stadler in cui un classico divano Chesterfield sembra sciogliersi come fanno gli oggetti nei dipinti di Salvador Dalí. Approcci simili sono riconoscibili nel lampadario che sembra esplodere, «Porca Miseria!» (1994) di Ingo Mauer, o in «Cocoon 8» (2015) di Nacho Carbonell, un ibrido fra tavolo e lampadario. Riferimenti molto concreti a motivi surrealisti si trovano anche nel videoclip della canzone «Hidden Place» (2010) di Björk, in cui la cantante ha una lacrima che le scorre lungo il viso, chiaro omaggio alla famosa fotografia di Man Ray «Lacrime di vetro» (1932 ca.). In particolare sono i progetti di Critical Design a riprendere la sovversiva agenda di critica sociale del surrealismo, ad esempio «Designs for an overpopulated planet: The Foragers» (2009) di Dunne & Raby. Si tratta qui di oggetti fittizi per un futuro distopico che abbracciano arte e design, realtà e finzione.

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photo: Ludger Paffrath

Questi esempi mostrano quanto, ancora oggi, sia attuale il dialogo fra surrealismo e design. Il surrealismo ha incoraggiato i designer ad interrogarsi sulla realtà dietro ciò che è visibile e a realizzare oggetti che incitano alla resistenza, rompono con le abitudini e abbandonano la vita quotidiana. Il surrealismo ha liberato il design del Dopoguerra dai rigidi vincoli del funzionalismo e ha indirizzato il nostro sguardo dalla forma delle cose al messaggio spesso celato che esse trasportano. La mostra «Objects of Desire» analizza per la prima volta questo fenomeno e mostra così uno dei dialoghi fra arte e design più influenti degli ultimi cent’anni.

In copertina: Installation view »Objects of Desire: Surrealism and Design 1924 – Today« © Vitra Design Museum, photo: Ludger Paffrath