Home Stories: 100 Years, 20 Visionary Interiors

Pubblicato il Di in Approfondimenti, Eventi

In questi mesi di lock down la casa ha assunto un ruolo molto importante, in molti ne parlano come un habitat da ripensare e riprogettare nel prossimo futuro.

Ma da sempre la casa ha un ruolo fondamentale nella vita di tutti noi pooichè esprime lo stile di vita personale, plasma la vita quotidiana e determina il benessere di ognuno. Lo scorso 8 febbraio il Vitra Design Museum aera stata inaugurata l’esposizione Home Stories: 100 Years, 20 Visionay Interiors che intendeva avviare un nuovo dibattito sull’arredamento d’interni domestico, sulla sua storia e sulle sue prospettive future.

Key Visual for the exhibition »Home Stories«, Illustration: Daniel Streat, Visual Fields, © Vitra Design Museum; Lina Bo Bardi, Casa de Vidro, São Paulo, 1952, © Instituto Bardi / photo: Francisco Albuquerque

L’esposizione è stata progettata con lo scopo di condurre i visitatori in un viaggio nel passato e mostrare come i cambiamenti sociali, politici e tecnici degli ultimi 100 anni si siano riflettuti sugli ambienti abitativi. La mostra si concentra sulle grandi cesure che hanno caratterizzato il design e l’impiego degli interni nel mondo occidentale: partendo da temi quali la crescente scarsità di spazi abitativi e la scomparsa dei confini fra lavoro e vita privata, attraversando la scoperta del loft negli anni Settanta così come il successo di forme di convivenza più informali negli anni Sessanta, si risale ai moderni elettrodomestici degli anni Cinquanta fino ad arrivare ai primissimi appartamenti open space degli anni Venti. Queste cesure vengono illustrate da 20 famosi arredi d’interni fra cui si contano progetti di architetti quali Adolf Loos, Finn Juhl, Lina Bo Bardi o Assemble, di artisti quali Andy Warhol o Cecil Beaton e di leggendarie arredatrici quali Elsie de Wolfe.

La progettazione e la produzione di mobili, tessuti, elementi decorativi e accessori per la casa si avvale oggi di una gigantesca industria globale. Le ultime tendenze in tema di arredamento coinvolgono l’intero panorama mediatico, da riviste a trasmissioni televisive, da blog a social media. Mentre, però, alcuni temi sociali e architettonici, come ad esempio la questione riguardante spazi abitativi accessibili a tutti, danno adito ad accese discussioni, non sembra esserci alcun serio dibattito sociale sull’arredamento d’interni. La mostra Home Stories intende cambiare questo stato di cose. Gli oggetti scelti dimostrano in quale misura la progettazione degli ambienti abitativi non sia solo influenzata da singoli arredatori di spicco, ma prenda anche spunto dal mondo dell’arte, dell’architettura, della moda o della scenografia. Se oggi alcuni arredamenti interni sfoggiano una monotonia esemplare, spesso condizionata da fornitori di mobili o da Instagram, la mostra, grazie all’ampia scelta di oggetti esposti, illustra quanto possa essere ricco e stimolante l’interior design e va così a riscoprire la storia più recente del vivere domestico.

L’esposizione Home Stories inizia con l’esposizione degli interni moderni che meglio descrivono il drastico cambiamento attualmente in corso in ambito abitativo. Ne è un esempio lampante l’appartamento micro «Yojigen Poketto» (Sacca 4D, 2017) dello studio madrileno Elii, che riesce a sfruttare una superficie minima grazie all’estrema versatilità dei mobili ad incasso.

elii [oficina de arquitectura], Yojigen Poketto Apartment (kitchenette and sleeping area) Madrid, Spain, 2017 © elii [oficina de arquitectura], photo: Imagen Subliminal – Miguel de Guzmán + Rocío Romero

L’architetto Arno Brandlhuber, per contro, dimostra con la Antivilla (2014) vicino a Potsdam come un’ex fabbrica possa essere riqualificata ad ambiente domestico. L’impiego di pareti in tessuto rende flessibile la divisione degli ambienti e, puntando sulla riduzione e sull’impiego mirato di determinati materiali, ridefinisce il concetto di confort e lusso.

Brandlhuber+ Emde, Burlon, Antivilla, Krampnitz, Germany, 2010–15
Courtesy of Brandlhuber+ Emde, Burlon, photo: Erica Overmeer / VG Bild-Kunst, Bonn 2020
Brandlhuber+ Emde, Burlon, Antivilla, Krampnitz, Germany, 2010–15
Courtesy of Brandlhuber+ Emde, Burlon, photo: Erica Overmeer / VG Bild-Kunst, Bonn 2020

Il progetto Granby Four Streets Community Housing a Liverpool (2013-2017) dimostra invece come la cosiddetta Sharing Economy si rifletta sull’architettura d’interni. Il collettivo britannico Assemble, in stretta collaborazione con gli abitanti, ha salvato dalla distruzione un insediamento di case a schiera risalente all’epoca vittoriana eliminando gli ambienti interni e riconvertendo gli spazi affinché si adattassero alle esigenze abitative contemporanee.

Marie Jacotey, Granby N48 (drawing of the housing project Granby Four Streets by Assemble, Liverpool, UK, 2013-today), 2016
Courtesy of the artist and Hannah Barry Gallery, London

In un laboratori appositamente costruito in loco, sono stati realizzati nuovi elementi d’arredo dai materiali estratti dalle case. Negli ultimi anni, un cambiamento profondo nel modo di percepire l’ambiente domestico è stato causato da piattaforme internet come Airbnb, Instagram o Pinterest: grazie ad esse possiamo pubblicizzare il nostro appartamento e considerarlo sempre più come un bene da commercializzare. Tuttavia, le immagini e la messa in scena di molti interni contemporanei ricorrono, ancora oggi, a motivi tradizionali o conservatori. Lo dimostra il designer britannico Jasper Morrison, in un saggio fotografico appositamente creato per la mostra in cui egli esamina il significato e la disposizione di singoli oggetti al fine di creare l’atmosfera e il carattere di un appartamento.

La seconda parte della mostra è dedicata invece alle radicali rotture con la tradizione che si ebbero nell’interior design dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Sotto il crescente influsso del postmodernismo, i designer – in particolare il collettivo italiano Memphis – iniziarono a riflettere sull’importanza e sulla valenza simbolica di mobili, motivi e decorazioni.

Karl Lagerfeld’s Monte Carlo Apartment
(with designs by Memphis), Monaco, ca. 1983
© Jacques Schumacher

All’inizio degli anni Ottanta lo stilista Karl Lagerfeld, un appassionato collezionista di progetti firmati dal Gruppo Memphis, trasformò il suo appartamento di Monte Carlo in un santuario del postmodernismo in cui veniva portato agli estremi lo strano clima abitativo pop dell’epoca.

Karl Lagerfeld’s Monte Carlo Apartment (with designs by Memphis), Monaco, ca. 1983
© Jacques Schumacher

Già nei due decenni precedenti i cambiamento sociali avevano influenzato l’architettura d’interni: all’inizio degli anni Settanta l’architetto Claude Parent e il filosofo Paul Virilio avevano introdotto il concetto del «vivre à l’oblique» (vivere l’obliquo) per contrastare gli anonimi edifici cubici del tempo. Nel 1973 Parent dotò il suo appartamento a Neuilly-sur-Seine di superfici oblique polivalenti che, a scelta, potevano essere utilizzate per sedersi, mangiare, lavorare o sdraiarsi.

Claude Parent, Maison Parent, Neuilly-sur-Seine, Frankreich, 1973-74
© bpk / CNAC-MNAM, Fonds Parent / Bibliothèque Kandinsky / Gilles Ehrmann / VG Bild-Kunst, Bonn 2020

La Silver Factory (1964–1967) di Andy Warhol a New York, invece, fu uno dei primissimi esempi di un edificio industriale abbandonato riconvertito in ambiente domestico e scatenò un entusiasmo per il «loft living» ma più sopito. La mostra illustra la voglia di sperimentazione in ambito di arredamento d’interno negli anni Sessanta e Settanta anche con due installazioni accessibili e in grandezza originale situate all’esterno dal Museo. Nella Feuerwehrhaus di Zaha Hadid è esposta una ricostruzione del leggendario Phantasy Landscape (1970) di Verner Panton, una casa-tunnel simile ad una grotta composta da elementi imbottiti di colori diversi. Di fronte al museo, invece, la micro-casa Hexacube (1971) di George Candilis testimonia come già in questo periodo si sperimentasse con unità abitative modulari mobili.

Verner Panton, Fantasy Landscape
at the exhhibition Visiona 2, Cologne, Germany, 1970
© Verner Panton Design AG, Basel

Negli anni Settanta, l’ascesa mondiale del produttore di mobili IKEA comportò un radicale cambiamento dei nostri interni: da un lato IKEA ha permesso a molte persone di arredare la propria casa con mobili moderni a prezzi accessibili; dall’altro lato, però, questo sviluppo ha contribuito a far sì che i mobili e gli altri pezzi per l’arredamento vengano considerati oggetti di consumo intercambiabili e di breve durata – un atteggiamento, questo, le cui negative conseguenze per l’ecologia si stanno ora facendo strada nelle nostre coscienze.

IKEA, Katalogcover, 1974
© Inter IKEA Systems B.V.

Un’altra fase decisiva sulla strada dell’interior design moderno ebbe luogo nell’immediato dopoguerra, quando il linguaggio formale dell’avanguardia si fece strada in un numero sempre maggiore di appartamenti dell’emisfero occidentale. Con il progetto House of the Future, creato per l’Ideal Home Exhibition di Londra del 1956, Peter e Alison Smithson crearono arredi futuristici con materiali di ultima generazione, elettrodomestici da cucina e con un bagno auto-pulente.

Alison and Peter Smithson, House of the Future, 1956
© Daily Mail

Per contro, Jacques Tati, più scettico rispetto al progresso tecnologico e al design funzionale, nel suo film Mon Oncle (Mio zio, 1958) mise in scena la Villa degli Arpel alla stregua di una casa-macchina asettica e arbitraria che sottomette i propri abitanti. In questi decenni, l’unione fra forme e materiali moderni e una certa Gemütlichkeit, un comodo ed intimo benessere, si dimostrò essere una ricetta di successo del design scandinavo.

Jacques Tati, Mon Oncle (filmstill), 1958
© Les Films de Mon Oncle – Specta Films CEPEC

Già nel 1942, ce ne danno prova l’appartamento e la casa di Ordrup in Danimarca dell’architetto Finn Juhl.

Ma anche la fluidità dei confini fra ambienti interni ed esterni divenne tema di molti sogni e spazi abitativi: l’esposizione lo dimostra sull’esempio di Casa de Vidro (1950/51) di São Paulo, creata dall’architetta brasiliana Lina Bo Bardi.

Lina Bo Bardi, Casa de Vidro, São Paulo, Brazil, 1952
Photo: © Nelson Kon, 2002

Nel dopoguerra, molti degli sviluppi avvenuti in ambito di arredamento d’interni erano strettamente legati all’ampio contesto politico del conflitto est-ovest. La mostra lo palesa grazie al famoso dibattito in cucina fra Richard Nixon e Nikita Chruschtschow del 1959, quando i due politici, in una casa prefabbricata costruita per l’Esposizione internazionale di Mosca, discussero della qualità abitativa e degli standard domestici nei due sistemi politici.

Richard Nixon and Nikita Khrushchev debating in the prefab house X-61 (Splitnik) at the American National Exhibition in Moscow, Russia, 1959
© picture alliance / AP Images

La mostra identifica gli inizi dell’arredamento moderno nei lungimiranti concetti per la casa e per l’arredo degli anni Venti e Trenta, concetti che ancora oggi caratterizzano molti spazi domestici. Nel programma di edilizia popolare Das Neue Frankfurt (La nuova Francoforte, 1925–1930), diretto dall’architetto Ernst May, si applicarono su larga scala i principi del Neues Bauen (Movimento Moderno). Fu così che entrarono a far parte della vita domestica sia la famosa Frankfurter Küche (Cucina di Francoforte, 1926) di Margarete Schütte-Lihotzky che i mobili a prezzi accessibili creati da Ferdinand Kramer e Adolf Schuster.

Mentre Ernst May inseguiva un programma urbanistico di forte impatto socio-politico, altri architetti, come per esempio Ludwig Mies van der Rohe, ridefinirono completamente la struttura e la disposizione degli spazi domestici. Con la sua Villa Tugendhat (1928–1930) a Brno in Repubblica Ceca, Mies van der Rohe creò uno dei primi edifici residenziali caratterizzato da una pianta aperta e da ambienti che si fondono l’uno nell’altro.

Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, Brno, Czech Republic, 1928-30
© Archive Štenc Praha/ VG Bild-Kunst Bonn, 2020

Con il concetto del Raumplan (progettazione dello spazio) Adolf Loos applicò un principio simile alle tre dimensioni dello spazio: Villa Müller di Praga (1929/30) è caratterizzata da una complessa coreografia di spazi con altezze diverse e su più livelli che trascende l’idea stessa di planimetria. L’architetto e designer Josef Frank, austriaco alla pari di Loos, sostenne invece il principio dell’«Akzidentismus» (accidentismo) secondo il quale gli arredamenti dovrebbero crescere organicamente col passare del tempo e agire come se fossero prodotti dal caso.

Josef Frank, Villa Beer, Vienna, Austria, 1929-31
© MAK Museum of Applied Arts, Vienna

In totale contrasto con questi approcci modernisti, vi erano molti contemporanei che continuavano a lodare ornamenti e decorazioni come forma espressiva; fra questi vi era l’americana Elsie de Wolfe, autrice del volume The House in Good Taste (La casa di buon gusto), pubblicato nel 1913, e considerata una delle prime arredatrici d’interni professioniste della storia. Secondo Elsie de Wolfe, lo scopo principale di un arredo è quello di rappresentare l’identità della persona che vi abita.

Questo principio venne perpetuato anche dal fotografo, scenografo e interior designer britannico Cecil Beaton il quale prese ispirazione dall’arte, dal teatro e dal maneggio del circo per arredare la sua Ashcombe House (1930–1945). Nella fase iniziale dell’interior design moderno, le questioni sugli spazi abitativi dettero adito a vivaci dibattiti, spesso a sfondo politico. Tali discussioni si protrassero anche nei decenni successivi e continuarono a riguardare i poli della funzionalità e della riduzione, da un lato, e i poli dell’individualità e dell’ornamentazione, dall’altro lato. Queste polarità caratterizzano l’arredamento di interni ancora oggi.

Cecil Beaton, Salon in Ashcombe, Wiltshire, England, 1930-45 (Photo: 1932)
© The Cecil Beaton Studio Archive at Sotheby’s, Courtesy of Andrew Ginger
(High Res file available upon direct request via communications@design-museum.de)

La mostra Home Stories presenta punti di riferimento fondamentali di questo sviluppo e mostra come la questione principale di questo dibattito continui ad essere attuale, oggi come cent’anni fa: «Come vivere?» In occasione della mostra sarà pubblicato un vasto catalogo con contributi di Joseph Grima, Alice Rawsthorne e Penny Sparke e interviste a Nacho Alegre, Adam Charlap Hyman, Ilse Crawford, Sevil Peach e altri. Ad oggi purtroppo la mostra al Vitra Design Museum non è visitabile, perché dal 14 marzo 2020 il museo chiuso al pubblico a causa della situazione attuale relativa alla diffusione del coronavirus / COVID-19. Si tratta di una chiusura temporanea, ma notizia recente è che che dal 11 maggio 2020 Vitra Design Museum e del Vitra Campus saranno aperti ai visitatori tutti i giorni dalle 12:00 alle 17:00.