Fino a pochi anni fa per molti il massimo dell’autoreferenzialità fotografica era rappresentato dalla foto tessera, una striscia di quattro immagini scattate in un tempietto laico posto spesso vicino alle stazioni ferroviarie, che il più delle volte ci lasciavano insoddisfatti, di un’insoddisfazione incancellabile, che si sarebbe perpetuata per tutto il tempo di validità del documento su cui sarebbero state apposte.
Dentro questi cubicoli si compiva un rituale lungo e tormentato se comparato all’istantaneità dell’odierna pratica del selfie, facile, vanitoso, gratuito, sempre (apparentemente) allegro e felice.