I Giardini della Biennale di Venezia: Padiglioni delle Nazioni

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Parlando delle architetture che popolano i Giardini della Biennale di Venezia, dopo aver accennato alla storia del Padiglione Centrale (ex Padiglione Italia) e dal Padiglione del Libro Electa progettato da James Stirling e Michael Wilford con Thomas Muirhead veniamo ai padiglioni delle Nazioni.

Sono bene 29 gli edifici, costruiti in varie epoche, principalmente a opera delle  nazioni espositrici.  Un vero e proprio museo a cielo aperto che al di là delle esposizioni varrebbero solo per questo una visita. Ogni edificio ha la sua storia e il suo stile. La natura e qualità architettonica dei padiglioni è infatti molto varia. Opinione generale della critica è che in gran parte i padiglioni offrono sia una rappresentano degli stili e degli stereotipo architettonici  che delle diverse concezioni espositive sviluppatesi  nel corso del Novecento. Accanto agli edifici di progettisti del calibro di Josef Hoffman o Carlo Scarpa e a quello di BBPR per il padiglione Canadese, che mutano il concetto di esposizione, ce ne sono altri considerati di valore discutibile. 

Come i padiglioni di inizio ‘900 considerati da alcuni come edifici con uno stile semplicemente rappresentativo. Che richiama le architetture dei paesi di appartenenza rischiando talvolta di cedere così nella retorica.  Ci sono anche i padiglioni più strettamente espositivi come quello di Israele o della Svizzera.

Il padiglione dei Paesi Nordici

Per il giusto equilibrio tra architettura e interpretazione dello spazio espositivo, uno dei padiglioni più interessanti dal punto di vista è quello dei Paesi Nordici, realizzato tramite concorso tra il 1958 e 1962. Un progetto di Sverre Fehn, Pritzker Prize nel 1997. Quando fu  dichiarato vincitore il progetto venne definito dalla stampa svedese “di stupefacente semplicità”. Grazie anche all’estrema flessibilità e “illimitata possibilità di suddivisione degli spazi entro una forma saldamente costruita e compatta”.

Si tratta infatti uno spazio essenziale di forma rettangolare permeabile allo sguardo e privo di separazioni definitive tra interno ed esterno.

Obiettivo di Fehn, pare infatti non fosse quello di costruire semplicemente uno spazio per esporre quanto piuttosto di realizzare un luogo ricco di significato. Uno spazio capace di raccontarsi attraverso la spazialità generata dalle sue strutture e dalla sua morfologia.

Il padiglione dei Paesi Nordici, a differenza di altri edifici analoghi realizzati precedentemente nei Giardini della Biennale, è pensato per essere la materializzazione delle identità nazionali di cui è espressione.

Destinato ad accogliere le opere d’arte e gli allestimenti, il padiglione si presenta con una solida struttura in calcestruzzo a faccia vista che definisce il carattere del padiglione. Tutto questo giocato grazie al dialogo e alla complicità dell’ illuminazione naturale ottenuta dalla particolare soluzione della copertura.

Un doppio ordine di travi sovrapposte, dello spessore di  6 centimetri alte 1 metro e con un interasse di 52,3 centimetri, nelle quali la luce veneziana resta “intrappolata” anche durante il solstizio estivo. Impedendo ai raggi solari di penetrare in maniera diretta nello spazio espositivo.

Per il Padiglione dei Paesi Nordici, pertanto, più che di spazio delimitato e chiuso, si può parlare di un luogo in continuità con l’ambiente naturale. circostante

I padiglioni delle Nazioni ai Giardini della Biennale

Josef Hoffmann, Gerrit Thomas Rietveld, Alvar Aalto e BBPR sono alcuni dei nomi dell’architettura che insieme a tanti altri hanno firmato alcuni dei padiglioni delle Nazioni dei Giardini della Biennale.

Il progetto per il Padiglione Austria venne affidato a Josef Hoffmann e realizzato nel 1934. Un edificio monumentale con grande ingresso centrale, segnato sulla cima da una finestra a nastro continua che corre lungo tutto il perimetro.

Linguaggio decisamente diverso da quello del padiglione della Finlandia progettato da Alvar Aalto. Lo realizza nel 1956 pensando ad  una struttura che doveva essere provvisoria. Solo in seguito si dice di renderla definitiva. Si tratta di un prefabbricato che venne spedito a pezzi dalla Finlandia e rimontato a Venezia, senza la presenza dell’illustre architetto.

Lo spazio espositivo concepito da Alvar Aalto per raccontare la sua nazione è un edificio dalla pianta trapezoidale con struttura in legno, soffitto spiovente e pareti blu.

Il padiglione di  padiglione Rietveld ai Giardini è invece quello Olandese che a breve però sarà preso in affitto dall’Estonia.

Venne costruito nel 1953 sorgendo dalle ceneri del vecchio padiglione Svedese, costruito nel 1914  e progettato da Ferdinand Boberg che venne così demolito.

Il nuovo edificio presentato nel 1955 incontra da subito le critiche da parte di esperti. Quali Bruno Zevi che in un articolo per l’Espresso  lo definì: “Un cassone, sebbene animato da sferzanti partiti neoplastici sovrapposti e da deliziosi dettagli”

Tra i Padiglioni che invece incontrarono da subito favori di critica e pubblico c’è il Padiglione del Canada dello studio milanese BBPR (Gian Luigi Banfi, Ludovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers) .

Una suggestiva struttura progettata negli anni Cinquanta, composta da pareti in mattoni, elementi di cemento, acciaio e da grandi vetrate. L’incarico per  questo edificio espositivo viene conferito ai BBPR dalla National Gallery of Canada. Un’opera finanziata con una piccola parte dei capitali confluiti in Italia dal Nord America, nell’ambito degli aiuti post-bellici.

Inaugurato nel 1958 l’edificio è stato chiuso dal 2014 la causa del  suo pessimo stato di conservazione. Era completamente avvolto attorno ai due alberi già presenti sul sito, giudicati intoccabili dalla soprintendenza. Dopo 4 anni di lavori nel 2018 il padiglione restaurato è tornato ad accogliere le esposizioni della Biennale di Venezia.