Che cosa è l’autoproduzione: la parola ai designer…

Pubblicato il Di in Approfondimenti

Raccontando le esperienze di giovani designer europei  o riscoprendo le ben note esperienze di Droog Design e del gruppo Memphis, ci appare evidente arrivare a concludere che quando si parla di  autoproduzione si raccontano  storie di esperienze vissute . Dietro a quello che inizialmente, abbiamo definito “fenomeno culturale” si celano in verità sogni, obbiettivi, prospettive, passione e ovviamente creatività. Un concentrato che ci porta a concludere che ogni designer, nella sua singola esperienza, ha una propria visione personale del fare design autoprodotto. Per capire meglio, abbiamo chiesto ad alcuni giovani designer, che si sono misurati con questa realtà, la loro definizione di Autoproduzione .

Senza dubbio, come afferma Matteo Giarrè  “il design auto prodotto, per un giovane designer, è un modo di affermarsi sul mercato realizzando le proprie idee e sviluppando un’identità che può generare visibilità e collaborazioni future con le aziende”.

L’autoproduzione è quindi una possibilità, come sostiene  anche Gabriele E.M. D’Angelo, giovane designer siciliano, che parafrasando le parole di Enzo Mari: “Per me l’autoproduzione, così come l’autoprogettazione, è una dichiarazione di indipendenza, un modo di dire “eccomi, anch’io posso esprimermi”. Così la mia “espressione” diventa anche un attimo di condivisione, la mia conoscenza condivisa con tutti.”

Ed è vero, l’autoproduzione è la possibilità di fare design in modo concreto. Lo dimostrano realtà come lo studio Nesta&Ludek che dell’autoproduzione  fanno la base del loro lavoro, considerandolo una spinta propositiva nella loro ricerca:

“Per noi ‘autoproduzione è un aspetto fondamentale del lavoro e della vita. Ci permette di sperimentare idee e tecniche che sarebbe difficile esplorare nel contesto delle collaborazioni con le aziende. Spesso poco disposte a rischiare. Inoltre sentiamo anche un certo orgoglio nel camminare nel solco della più alta tradizione italiana lavorando con gli artigiani più bravi al mondo che, seppur in un contesto estremamente difficile, colmano con la loro passione e il loro entusiasmo, il drammatico vuoto culturale che affligge il Paese. La nostra speranza è che in questi anni tanti giovani decidano di seguire la strada del design e dell’auto-produzione per iniettare nuova linfa vitale nei vari strati della produzione creativa in Italia.”

Dietro all’autoproduzione infatti c’è anche la collaborazione, lo scambio reciproco tra designer oltre alla possibilità di entrare in contatto diretto con chi realizza l’oggetto. Stefano Visconti designer e fotografo,  ci dice Fare design autoprodotto significa sviluppare un progetto a stretto contatto con piccole realtà artigiane; questo approccio porta notevoli ricadute dirette sul territorio e indirette, su un prodotto il cui valore è dato dall’unicità e dalla sapienza delle mani che lo hanno plasmato.”

La visione più “romantica” del fare autoproduzione, però poi, inevitabilmente, si scontra anche con quegli aspetti concreti, che chi fa design auto prodotto conosce bene: “Spesso l’autoproduzione è il primo passo che i designer devono compiere per dare concretezza alle proprie idee sostenendo oltre allo sforzo creativo anche quello economico per la realizzazione di un prototipo” dice Giovanni Ferrati, architetto.  In pratica il designer da puro creativo si sta trasformando in imprenditore di se stesso.

 

“Di solito si parte con il massimo dell’entusiasmo per poi scoprire che i costi di realizzazione del proprio oggetto sono fuori portata. Inizia così la ricerca dell’artigiano giusto, del materiale più abbordabile, della tecnica più sostenibile, arrivando, il più delle volte, ad una soluzione di compromesso”ci dice Marco Sorito architetto e designer. “Si tratta, in questi casi, di design autofinanziato più che autoprodotto. L’autoproduzione per essere realmente tale, deve essere appunto, auto-prodotta ovvero l’oggetto in questione deve essere pensato, progettato e realizzato dal designer. In questo modo è possibile eliminare parecchi intermediari nel processo, arrivando ad un prodotto unico, pronto per essere distribuito”.

Riconoscendo che nel fare autoproduzione ci sono dei limiti derivati da vari aspetti, con cui il designer non può  che imparare a giostrasi, dando primo di tutto voce alla spinta creativa,  ci piace pensare che, fare design autoprodotto, come ci dice il designer Riccardo Fiorucci sia: “Ricerca, conoscenza, libertà…  È la prima mano che ha brandito una pietra elevandola ad utensile…. È un un’uomo che vive…”

In ogni definizione (e molte altre ne potremmo accogliere) ci sono storie e anche in questo si coglie la differenza e  la peculiarità che sta dietro al lavoro di ciascun designer.

In copertina foto di: itacafreelance